Un proverbio persiano recita: “Un bambino è un ponte verso il cielo”. Io quel ponte l’ho costruito in Iran…
Mia figlia è nata a Karaj (capoluogo della provincia di Alborz, circa 20 km a ovest di Teheran) e ha due date di nascita, il 12/07/2016 e il 22/04/1395, secondo il calendario iraniano.
Ma procediamo con ordine…
Io e mio marito vivevamo ancora in India quando abbiamo scoperto di essere in dolce attesa e in quel periodo eravamo inprocinto di trasferirci a Teheran. Non so perché, forse per incoscienza o forse perché da sempre sono stata un’amante dell’avventura, ho deciso che avrei sicuramente partorito in Iran.
La mia è stata una “bella” gravidanza, mai una nausea, mai un problema, anzi stavo meglio e sicuramente questo mi ha aiutato a vivere bene un momento così importante in un Paese straniero.
Quando sono arrivata a Teheran ero incinta di appena 3 mesi e subito è iniziata la ricerca di un bravo ginecologo che parlasse inglese. La ricerca è stata più difficile del previsto, sembrava quasi impossibile trovare un ginecologo (la stragrande maggioranza sono donne) che praticasse il parto naturale. In Iran si fanno ancora tanti figli e bisogna “programmare” le nascite.
A me l’idea di affrontare un cesareo, senza una necessaria motivazione, non piaceva e stavo quasi perdendo le speranze. Nel frattempo ci siamo trasferiti a Karaj, per essere più vicini all’ufficio di mio marito e lì, tramite un suo collega abbiamo finalmente trovato Mitra, una bravissima ginecolga che parlava inglese ed era una forte sostenitrice del parto naturale!!!
È stato amore a prima vista e ancora oggi ci sentiamo. Il suo studio era sempre strapieno di donne incuriosite dal fatto che un’italiana avesse deciso di partorire proprio lì. Le visite avevano cadenza mensile e lei mi faceva ascoltare sempre il battito del cuoricino del bimbo.
In Iran si fanno molti meno esami rispetto all’Italia, ma ogni mese io mi recavo in un laboratorio di analisi cliniche per un check-up completo e ogni volta le infermiere mi prendevano in giro perché io chiedevo l’esame per la toxoplasmosi; di sicuro mi avranno classificata come un’ipocondriaca.
Ricordo ancora che il giorno in cui ho fatto la morfologica era San Valentino e sono stata accompagnata da mio marito e da un nostro caro amico per eventuali traduzioni. Durante l’ecografia non volevano farli entrare perché lì è proibito, ma dopo molte insitenze hanno cambiato idea.
Alla domanda: “Is a boy or girl?”, l’ecografista mi rispose: “Girl”. Io esultai e gli dissi che mio marito sarebbe stato felicissimo, ma lui guardò sconvolto la sua assistente (In Iran in molti preferiscono avere un figlio maschio come primogenito).
Ma eccoci al giorno del parto. L’ospedale da noi scelto era la clinica privata in cui lavorava la nostra dottoressa, sembrava un hotel a 5 stelle e si chiamava Takhte Jamshid (Persepolis) Hospital. Arrivammo in ospedale alle 3:20 del mattino perché mi si erano rotte le acque e poco dopo arrivò la ginecologa insieme ad una impiegata che parlava bene inglese. Passarono quattro ore e non mi arrivavano le doglie e quindi mi hanno indotto il parto con l’ossitocina. Mi hanno messa in una stanza singola e facendo un’enorme strappo alla regola, hanno fatto entrare mio marito. Mi hanno spiegato che in Iran non fanno entrare in sala parto nessuno, neanche la madre o la sorella.
Nella stanza affianco alla mia sentivo le urla strazianti di una donna che stava partorendo e invocava Allah!
Durante il travaglio venivano di continuo infermiere e ostetriche a visitarmi e portavano vassoi d’argento pieni di ogni bene…Io non avevo per niente fame ma per non farle dispiacere ho mangiato un dattero e un cioccolatino.
La ginecologa per l’occasione aveva imparato qualche parola in italiano, tipo: “brava”, “spingi”, “respira”.
L’ossicitocina ha fatto effetto e alle 11 sono arrivate le prime deboli contrazioni, quelle forti sono arrivate alle 13, mi hanno proposto di fare l’epidurale ma ho rifiutato e quindi hanno iniziato a chiamarmi “italian heroine”; alle 16:10 è nata la mia bimba!!!
L’abbiamo chiamata Arianna, proprio perché Iran vuol dire terra degli Arii e noi volevamo che il suo nome parlasse del luogo in cui è venuta al mondo.
Il mio parto è stata una festa e il mio post-partum in ospedale è stato un via vai di gente che veniva a salutare la bimba made in Italy, nata in una città in cui non era mai nato un occidentale. La nostra stanza è stata addobbata con palloncini e ogni mio desiderio culinario è stato esaudito.
Io e mia figlia siamo state trattate come due regine e custodirò per sempre nel cuore il ricordo di un giorno così speciale e ricco di emozioni e sono certa che un giorno tornerò a Karaj con Arianna per farle vedere la città in cui è nata e ha vissuto i primi due anni della sua vita!
Romana
Un racconto bellissimo, complimenti!!!